Mia cara Berenice,
come ben sai, ho la brutta abitudine di alzarmi tardi.
Stanotte, però, il vaccino o il calzone che ho mangiato ieri sera hanno cambiato qualcosa.
Mi sono svegliato all’alba, con una gran sete e una sensazione di calore. Mi sono provato la febbre, non ne avevo.
Rassicurato, sono tornato in camera e ho socchiuso gli scuri per godermi un po’ di aria fresca e spiare la città che si stiracchia e si sveglia.
Non lo crederesti mai, ma il primo rumore è quello del canto degli uccelli, diffusissimi a Roma anche in specie tropicali, tanto che non è raro, attraversando Piazza dei Cinquecento, sentirli gravare ubertosi sui rami degli alti pini.
Poi certo, mugghiare di motori, stridio di freni, urlo acuto di imprecazioni, martellare di operai.
Ultimi, i bambini pigolanti dell’asilo e della scuola elementare, dall’altra parte della strada.
Sdraiato fra le lenzuola, fra il sonno e la veglia, carezzato da un alito di vento, immagini i primi avventori del chiosco al parco, l’autista del tram imponente e indifferente nel suo acquario, l’anziano insonne che arranca in direzione di cappuccino e cornetto.
Un raro mattiniero saluto.
Stan