Mia cara Berenice,
un tempo, le nostre giornate erano scandite dalle campane, oggi sono misurate sulla durata delle batterie.
In principio ci fu la raccomandazione di non ricaricarle, finché non fossero completamente scariche, poi caduta come l’indicazione di utilizzare i guanti durante la pandemia.
Fino all’anno scorso, i cellulari mi costringevano a possedere due caricabatterie, uno per la casa e uno per l’ufficio.
L’estate scorsa, il telefono mi si è letteralmente sbriciolato in mano, oltretutto nel momento meno opportuno immaginabile.
Recatomi al grande magazzino di elettronica più vicino, ho scoperto, nell’ordine, che la Cina aveva fatto il suo prepotente ingresso in quel lucroso segmento di mercato e che le batterie erano mutate in modo radicale: ora durano una giornata intera e si ricaricano rapidissimamente.
Infine, qualche giorno fa, ho scaricato un videogioco di zuffe tre contro tre che consuma una quantità impressionante di energia; così ora, mentre ti scrivo, il cellulare è collegato alla presa elettrica, posato sul bracciolo del divano come un vezzoso cagnolo rinascimentale.
A proposito, sto leggendo “Rinascimento privato” (Mondadori, 1989) di Maria Bellonci, liberamente ispirato alla vita della Marchesa di Mantova Isabella d’Este, che ti consiglio caldamente. Ci sono gli splendori di quella mitica epoca storica, ma anche le sue miserie, con le città-Stato scrigni d’arte e di cultura, ma anche vasi di coccio fra i vasi di ferro di Santa Sede, Sacro Romano Impero, Regno di Francia e Impero Spagnolo.
Domani, invece, mi aspetta “Il cattivo poeta” (Italia-Francia, 2020), con Sergio Castellitto, sugli ultimi anni di Gabriele D’Annunzio. Reduce come sono dalla lettura di Scurati, sono davvero trepidante.
Non avevo intenzione di tornare al cinema così presto, ma la scorsa settimana davano “The Human Voice” (Spagna, 2020), di Pedro Almodóvar, con Tilda Swinton; trattandosi di mediometraggio di trenta minuti, mi pareva un buon compromesso sanitario e quasi un segno del destino.
Un rassegnato saluto.
Stan