Mia cara Berenice,
è incredibile quanto la caduta del Muro di Berlino sia stata uno spartiacque.
Dal giorno alla notte, i marxisti sono scomparsi come la neve al sole. Se sei un diseredato, un operaio sfruttato, un immigrato sans papier, tutto puoi diventare – di estrema destra, islamista, membro di un collettivo -, fuorché comunista.
Un solo paradiso dei lavoratori è rimasto. No, non Cuba, e tantomeno la Corea del Nord o il Venezuela. L’arena virtuale dei videogiochi per cellulare.
In quello spazio cibernetico, accade qualcosa di strano: è come oltrepassare un sottile diaframma spazio-temporale che ti riporta nella Germania Est. La stessa persona che, nella vita reale, spende senza batter ciglio centinaia di euro per un paio di scarpe da ginnastica americane, improvvisamente considera un insulto personale dover sborsare 99 centesimi per scaricare un videogioco.
Gli sviluppatori di app sono proletari anch’essi, per cui si tollera che costoro si facciano ripagare i loro sforzi almeno inserendo qualche intermezzo pubblicitario nel videogioco; ma lo si sopporta storcendo il naso, con malevola condiscendenza e, comunque, entro rigidissimi limiti di etichetta.
La fedeltà dell’universo parallelo a quello marxista è tale che, esattamente come in quest’ultimo, quasi subito ci si scontra con la dura, cruda, ancestrale realtà.
Ecco il nostro giovane pioniere aggirarsi sotto l’alba radiosa di un mondo post-apocalittico. Vestito di stracci, procede guardingo, facendosi precedere dalla canna di un Kalashnikov raffazzonato, faticosamente messo insieme un pezzo alla volta, un bonus giornaliero alla volta, una cassa di munizioni nascosta alla volta, un video pubblicitario – vergogna! – alla volta.
Fra i corridoi e le scale di un centro commerciale abbandonato, si imbatte in un gruppo raccogliticcio di altri proletari come lui. Scoppia una guerra stanza per stanza, metro per metro, come a Stalingrado, per la sopravvivenza. Il fiero Kalashnikov fa il suo lavoro e il nostro emerge dall’Uscita Ovest malconcio, ma vivo. Si addentra barcollando nel parcheggio del centro, quando, all’improvviso, un’ombra oscura il sole.
Si tratta di un altro giocatore, un rinnegato che ha acquistato dei potenziamenti a pagamento. Una quindicina di dollari americani, niente di più. Tanto basta perché si erga racchiuso in un esoscheletro alto tre metri, lucido di cromature, gli arti rigonfi di mitragliatrici e lanciarazzi. Punta le mostruose appendici senza fretta, dall’alto, in un clangore di metalli. Con la velocità guizzante delle bestiole braccate, il nostro punta punta il Kalashnikov al petto piastrellato d’acciaio, svuota l’intero caricatore… ma, ahimè, è come tirare sassolini contro un muro.
La mitragliatrice del giocatore pagante si avvolge in un’aura di luce purpurea… ecco, non è una mitragliatrice, è un laser. Un fascio di luce si concentra sul nostro, trapana e trapassa ululando il tessuto stesso dell’universo. Quando si dissipa, dove c’era il giocatore proletario è rimasto solo un foro circolare sull’asfalto; del nostro, non sono rimaste nemmeno tracce di pulviscolo.
Dall’altra parte del display, l’utente impreca e si affretta a disinstallare l’app, non prima di aver lasciato nello store una recensione lapidaria che suona come un malum carmen: “Il solito gioco Pay to Win”.
Un saluto col pugno chiuso.
Stan