Mia cara Berenice,
sono state giornate movimentate.
Ieri mi sono svegliato tardissimo, perfino per le mie abitudini.
Il fatto è che il mio sonno era stato disturbato.
Una musica infernale, proveniente non so se dell’appartamento del vicino o dal bar del parco avanti casa.
Ben due sogni a tema videoludico. Nel primo, il sistema informatico del Ministero era diventato un videogioco a scorrimento orizzontale, simile a “Prince of Persia”: per convalidare un’istanza, occorreva raggiungere un dato punto prima che scadesse il conto alla rovescia. Il secondo era in soggettiva, nello stile di “Resident Evil”. All’interno di una stanza, il giocatore si imbatteva in una ragazza che appariva a tratti bellissima, a volte mostruosa, un istante benevola, quello dopo omicida: l’algoritmo della donna media, insomma.
Infine, su una chat, un gruppo di amici si accapigliava sui privilegi dei dipendenti pubblici durante la pandemia.
Sono uscito a fare la spesa con un paio di scarpe spaiate. Al momento di pagare, io e il cassiere ci siamo ritrovati a fissare all’unisono una manciata di monetine che avevo sparso sul ripiano di plastica trasparente.
“Mi scusi, oggi sono un po’ rimbambito”.
“Non si preoccupi… sapesse io…”
Nel tardo pomeriggio, mentre rientravo a casa in tram da un’ultima passeggiata a Trastevere e in Largo Argentina, mi ha raggiunto un dispaccio delle Risorse Umane con cui il personale del Ministero veniva ricollocato in telelavoro cinque giorni su cinque.
È in quel momento – presumo – che il mio orologio biologico è tornato in modalità belga. Consumata la cena, sono andato a letto tardissimo dopo la visione di due film e oggi mi ha svegliato il campanello suonato dall’antennista.
“Cinque minuti e arrivo!”
Un femmineo saluto.
Stan