Mia cara Berenice,
puoi essere soddisfatta di me.
Vivo e lavoro in un ambiente multiculturale.
In qualità di distaccato presso la Direzione Generale Occupazione della Commissione, promuovo i diritti economici e sociali.
Mangio, nella generalità dei casi, cibo biologico e sano.
Ascolto, per la prima volta in vita mia, della buona musica. Forse ribellandosi alle colonne sonore dei manga, l’elaboratore elettronico ha spontaneamente composto una playlist con brani di Gaber, De André e Rino Gaetano, con qualche spruzzatina di Lucio Dalla.
Durante questa pandemia credo di aver dimostrato, tutto sommato, una certa resilienza.
Ho perfino approfittato dei confinamenti per riprendere in mano gli studi giuridici, nei limiti consentiti dalla mia indole pigra e altezzosa.
Non ho consentito al virus di spegnere le mie ambizioni e la mia progettualità, come dimostra il trasferimento da Roma a Bruxelles. Ho barattato i marmi cotti dal sole, sventrati dai Papi e infestati dai gatti con la moderna ed euclidea architettura nordica.
Faccio moto regolarmente e, a tal uopo, ho installato un contapassi sul cellulare.
Anziché grufolare nel trash dei canali in chiaro, guardo le serie Neflix.
Dopo mesi passati a lanciare strali contro il telelavoro – almeno quassù non lo chiamano “lavoro agile” -, mi spaventa ormai l’idea di puntare la sveglia, dismettere la tuta da ginnastica alla Wes Anderson e recarmi in ufficio.
Sono insomma, la riedizione moderna e liberale dell’Uomo Nuovo Sovietico.
Hai ragione, faccio schifo.
Stavolta sì, dovresti lasciarmi.
Un autodafé.
Stan