Mia cara Berenice,
ti lamenti che sono ossessionato dalla pandemia e non ti scrivo mai nulla di romantico.
Quanto al primo capo d’imputazione, mi dichiaro colpevole: sono ossessionato dalla pandemia come tutti.
Quanto al secondo, bada agli uomini con troppo miele sulle labbra.
Fatte queste doverose premesse, hai ragione, per cui oggi ti prenderò per mano e sarò il tuo Virgilio in un Grand Tour dei luoghi dell’amore in cui mi sono imbattuto nel mio percorso.
Cominciamo dalla casa paterna. C. può sembrare una cittadina di provincia relativamente anonima, e ancora di più il quartiere di P., con la sua chiesa cementizia simile a una discoteca e la Statale 13 a un passo.
Eppure anche lì si trova, perfettamente custodito, un luogo sospeso nel passato. No, non mi riferisco all’antico ponte, romano o medievale a seconda delle tesi, alle spalle della casa famiglia. Parlo di un modesto crocevia, poco oltre la Coop, sul quale si affacciano un’osteria di infimo ordine e un albergo a ore. Ti giuro che non ci ho mai messo piede, anche se al piano terra hanno aperto una friggitoria.
Da qui prendiamo l’aereo e atterriamo a L’Aja, sede dell’omonima Accademia di Diritto Internazionale e comodamente collegata ad Amsterdam, dove, nelle laterali di una chiesa, è stato ricavato il famoso quartiere a luci rosse. Paccottiglia per turisti, in realtà. Per quanto le ragazze scagliate contro le vetrine si sforzassero, l’unico pensiero che mi evocavano erano quei bastoncini di merluzzo panato surgelati, serviti con mio grande vergogna a un collega arabo a Venezia, nei paraggi di Piazza San Marco.
Appunto in quanto diffidente, mandai in avanscoperta Reginald, che mi accompagnava con l’ombrello. Non era entusiasta, ma, disciplinato come sempre, eseguì, e me dispiacque molto, perché quando tornò era più pallido e terreo del solito, con quella smorfia di disgusto che gli compare sul mento a cupola quando qualche ospite viola una qualsiasi regola dell’etichetta.
Vedendolo in quello stato, scattai addirittura in piedi dal tavolino del caffè dove ci eravamo dati appuntamento.
“Buon Dio, Reginald, che avete? Sembra abbiate dovuto affrontare un gorilla, come nella canzone di Brassens! Sedetevi!”
“Giammai, signorino”.
“Insisto. Volete un cordiale?”
“No, no”.
“Del tè al latte!”
“Magari…”
“Lasciate fare a me”.
La bevanda così consona alle sue abitudini lo rinfrancò e riuscì a farmi la sua relazione.
“Innanzitutto, le mammelle erano vistosamente artificiali”.
“Vistosamente?”
“Si percepiva al tatto”.
“Capisco. Che altro?”
“Svolto il servizio orale, la signorina in questione si è bruscamente interrotta e mi ha informato che, se volevo proseguire e portare a compimento l’operazione, dovevo raddoppiare la mercede offerta. Ovviamente ho rifiutato”.
“Santo cielo… direi che siamo ben oltre il dolus bonus e ricadiamo quantomeno nella fattispecie europea del marketing aggressivo, seppur entro i locali commerciali. Vi prego di scusarmi, Reginald, non si ripeterà”.
“È stato molto peggio quella volta che abbiamo avuto quegli americani a pranzo, signorino”.
“Ricordo, ricordo… vi furono prescritte due settimane di riposo, in quell’occasione”.
“Avevo bisogno di ritirarmi un po’ in Scozia”.
“E dove sentite il bisogno di ritiravi, stavolta?”
“La stanza dell’albergo sarà sufficiente”.
“Andiamo”.
Infine, Roma. Come sai, arrivando a Termini ho l’abitudine di attraversare Piazza della Repubblica per poi imboccare via Nazionale fino a Piazza Venezia. Così facendo, ben presto mi ritrovo sulla sinistra l’Hotel de Russia, importante polo logistico delle cene eleganti organizzate dall’ex Presidente del Consiglio Berlusconi a Palazzo Grazioli, anche quest’ultimo poco lontano da Piazza Venezia. Chissà se anche le ragazze facevano la strada a piedi, sui loro tacchi a spillo.
Un caldo saluto.
Stan