Mia cara Berenice,
progressista come sempre, il Prof. van O. mi consiglia di renderti edotta dell’articolo 52 della Costituzione, ai sensi del quale “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge”.
Il termine “cittadino”, in questo particolare caso, va inteso in senso strettamente letterale, nel senso di cittadino maschio. Solo nello Stato d’Israele, a quanto mi consta, esiste il servizio militare obbligatorio per le donne.
Secondo alcune associazioni combattentistiche, l’articolo 52 obbligherebbe addirittura lo Stato a imporre la coscrizione, per cui sarebbe incostituzionale la sospensione della leva obbligatoria disposta… ma partiamo dall’inizio.
Sotto il Regno d’Italia, le leva era un affare assai serio. I coscritti del Nord si spedivano nel profondo Sud, e viceversa, nel tentativo di “fare gli italiani”, secondo la citazione forse apocrifa di Massimo D’Azeglio.
Mio nonno raccontava spesso di essersi fatto sette anni di naja, nome gergale della leva. Prima quella regolare. Poi, sentendo approssimarsi la Seconda Guerra Mondiale, le Autorità militari gliela prorogarono, con il pretesto di mandarlo a scavare mulattiere al confine con la Francia. Scoppiò appunto la guerra, che mio nonno terminò in Grecia, dove fu sbattuto per punizione con tutta la sua unità nel ’43, dopo che qualcuno, dai finestrini di una tradotta, aveva fatto fuoco su alcune Camicie Nere beatamente adibite a guardia di un ponte. Balzarono sui vagoni Camicie Nere e Carabinieri, alla ricerca di chi aveva sparato. Si ispezionarono i caricatori, si annusarono le canne, si interrogarono i presenti: nulla. Quindi, tutti in Grecia.
Caddero il fascismo e la monarchia, ma la leva rimase, e così il vizio di sballottare i giovani italiani da una parte all’altra della Penisola. Mio zio, a causa di un errore burocratico, venne dimenticato in una caserma di Roma per mesi. S’introdusse però una variante, il concentramento nel Friuli Venezia Giulia, dove i coscritti venivano ammassati per fare da scudo umano contro l’Armata Rossa e l’esercito titino. Erano i tempi in cui, prima di adibirti a radiotelegrafista, il Comandante si informava presso i Carabinieri del tuo paese se tu fossi comunista.
Negli anni ’70 venne riconosciuta la cosiddetta “obiezione di coscienza”, che consentiva di sostituire il servizio militare con il servizio civile.
Quando io compii il diciottesimo anno, l’alternativa era ancora in vigore, ma la scelta poteva essere differita per motivi di studio, finché si era in regola con gli esami scolastici e universitari. Così, una volta l’anno, mi recavo al Distretto Militare, nell’ex Tribunale Civile davanti al Duomo di T., dove un impiegato mi consegnava un foglio di rinvio con la firma meccanografica di un tenente colonnello.
Quando mi laureai arrivò, infine, la sospensione sine die della leva che non mi risparmiò comunque la gavetta, seppure in senso figurato: due anni di pratica forense (oggi ridotti a diciotto mesi), quattro anni di assistentato universitario, sei anni di consulenze alla Pubblica Amministrazione prima di essere immesso in ruolo come funzionario.
E non è ancora finita: per fortuna.
Un saluto con squillo di tromba in sottofondo.
Stan