Mia cara Berenice,
ieri sera, spinto da una vaga reminiscenza, mi sono dato, come Andreotti, alla consultazione del mio archivio.
Come mi pareva di ricordare, quella di ieri non era la mia prima lettera a tema scacchistico; la precedente te l’avevo inviata da Roma, nel pieno della prima ondata.
Del resto, gli scacchi sono come i soldi: merce che va e viene.
Pensa, per esempio, alla serie con Anya Taylor-Joy a cui ti accennavo ieri. Sette puntate, sei delle quali, a mio modesto avviso, c’entrano pochissimo con gli scacchi, ma sono un comune Bildungsroman.
Poi, all’improvviso, arriva il gran finale e i pezzi degli scacchi cominciano a piovere dal cielo, a sommergere il set fino a coprire le luci posizionate più in alto.
È peraltro possibile che la perturbazione si estenda anche al di fuori degli studi cinematografici: corsi, circoli, tornei di scacchi.
Se avverrà, credo sarà una moda passeggera, come l’acquisto di dalmata dopo “La carica dei 101”: non è un gioco per tutti, richiede allenamento e solide basi di matematica. Gli scacchi, dico, non l’allevamento di dalmata.
Insomma, ribadisco: gli scacchi vanno e vengono.
Un ondivago saluto.
Stan