Mia cara Berenice,
la fine di novembre è ancora relativamente lontana, ma a Bruxelles cominciano a vedersi le prime luminarie e, nella Grand Place, hanno acceso l’albero di Natale.
È curioso come, pochi giorni fa, la medesima piazza fosse illuminata di una luce tra il giallo limone e il verdognolo – noi uomini, come ben sai, non distinguiamo i colori -, una luce soffusa e inquietante, da far pensare che sui tetti a punta si fosse appollaiato il diavolo nel campanile di Edgar Allan Poe.
Del resto, nelle sere di pioggia fina, il cielo sopra Bruxelles si tinge di un viola porpora gonfio e liquido, simile a un immenso bubbone, il cui effetto è amplificato dalle strade svuotate dalla pandemia e dal bianco marmoreo dei palazzi più moderni.
Tutto ciò, me ne rendo conto, suona piuttosto pauroso… eppure, quando ci si fa l’abitudine… l’horror (latino e non inglese, naturalmente), del resto, suscita da sempre una certa viscerale fascinazione, di cui sono trasversalmente testimoni la letteratura più alta e la filmografia più infima.
Torniamo però ai lucenti palazzi di marmo e vetro che svettano sui tetti delle casette ottocentesche. Essi mi richiamano continuamente alla mente una conversazione con F. Egli non è un grande ammiratore di Roma, come ricorderai benissimo, dato che lo attaccasti violentemente su questo fronte.
Anch’io difesi la mia città d’adozione, e la difendo ancora: vera prova d’amore, per chi vi ha trascorso la prima ondata, la grande quarantena e questa surreale, livida estate di perdizione.
Tuttavia debbo riconoscere che su una cosa aveva ragione: Roma è architettonicamente bloccata nel tempo, ibernata, fossilizzata. All’infuori di MAXXI e EUR – entrambi curiosamente in lettere maiuscole, quasi a sottolinearne l’eccezionalità – non si rinviene quasi nella Città Eterna – appunto – traccia di quelle forme che contraddistinguono l’urbanizzazione contemporanea e che, nell’immaginario collettivo, sono strette a pugno chiuso nella skyline di New York e di Manhattan in particolare.
Viceversa Bruxelles, fedele alla sua vocazione pasticciera, è una torta a due strati, uno Belle Époque e uno contemporaneo. Ricorda quasi quel curioso, ma fortunato sottogenere che va sotto il nome di steampunk.
In effetti, non mi dispiacerebbe sostituire la posta elettronica con la posta idraulica.
Un sibilante saluto.
Stan
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