Mia cara Berenice,
è ben nota, almeno nelle Venezie, la mia passione per le bibite al limone.
La cosa migliore, ovviamente, è una limonata fatta in casa, magari con l’aggiunta di menta o altri ingredienti. Ne servono una eccellente al ristorante kosher del Ghetto di Venezia; un’altra, dalla consistenza quasi solida, nel bistrot di Villa Pamphili, a Roma.
Qui a Bruxelles, per il momento, bar e ristoranti sono chiusi, se non per consegne o asporto.
Venivo appunto da Ixelles, dove avevo ritirato due confezioni di patatine fritte accompagnate da salsine varie. Ormai in prossimità di casa, volli fermarmi al Carrefour per completare il pasto con una bibita; scelsi appunto una bevanda gassata al gusto di limone.
Mi misi in fila alla cassa, rispettando la distanza regolamentare di un metro e mezzo, cinquanta centimetri più che in Italia.
Alle mie spalle, una ragazza italiana parlava al telefono con la madre.
Alla mia destra, il cassiere passava sul lettore i prodotti di chi mi precedeva, con la flemma tipica della forza lavoro locale.
Io fremevo, sia per la voglia di mangiare le patatine, sia per timore che si freddassero.
Forse furono vibrazioni d’ansia, forse fu il linguaggio del corpo, forse fu un moto spontaneo, fatto sta che il ragazzo davanti a me si voltò e indicò la bottiglietta che tenevo in mano.
“Hai solo quella?”
“Sì”.
“Passa avanti”.
“Sicuro?”
“Sì, tranquillo”.
Lo ringraziai profusamente, in inglese e in francese, prima e dopo aver pagato.
Le frites erano divine: dopotutto, sono il piatto nazionale.
Un deliziato saluto.
Stan