Mia cara Berenice,
oggi, in Belgio, è giorno festivo.
Stamattina sono andato a ritirare il pranzo al buffet di un albergo e, nel cestino, ho trovato anche una piccola confezione di latte con cui ho fatto merenda nel pomeriggio.
Non bevevo latte da tempo immemorabile.
Da bambino, il bicchiere di latte era una scusa per andare a letto una manciata di minuti più tardi. Poi, schifato da par mio dalle sottili tele di ragno che si formavano in superficie, rinunciai a quel privilegio.
Al mattino tu sai che io mi sveglio con lo stomaco chiuso e impastato, come se avessi mangiato pasta non lievitata. Il latte, servitomi a giorni alterni con cacao od orzo, mi nauseava in modo terribile, tanto che infine ottenni di sostituirlo con del tè caldo.
Curioso, per qualcuno golosissimo di yogurt naturale e latticini come me.
“Sono venuto a liberarlo dalla schiavitù degli Egiziani, lo farò uscire da quel paese e lo condurrò verso una terra fertile e spaziosa dove scorre latte e miele: cioè nella regione che ora è abitata dai Cananei, dagli Ittiti, dagli Amorrei, dai Perizziti, dagli Evei e dai Gebusei”.
Secondo Cosmopolitan, bagni nel latte di asina erano un segreto di bellezza di Cleopatra, Poppea e Paolina Bonaparte. Non solo peraltro quest’uso si è perso, ma il latte d’asina resta un prodotto di nicchia nella cosmesi contemporanea, come è costretta ad ammettere un’entusiasta Livia Fabietti su La Stampa.
Un candido saluto.
Stan