Mia cara Berenice,
qui a Bruxelles ho preso a pigione, nel Quartiere Europeo, una stanza che sarebbe, come Mary Poppins, perfetta sotto ogni aspetto, se non fosse seminterrata.
Il router, utilizzato anche dalla padrona di casa, è collocato in cima alle scale, al piano terra, e non fa arrivare quaggiù che un flebile segnale.
Finora ci ho messo la proverbiale pezza utilizzando il mio nuovissimo portatile come hotspot, ma oggi si è passato il segno.
Davanti a me avevo due computer, quello della Commissione a destra e quello personale a sinistra. Sul primo non era possibile partecipare a una riunione da remoto senza che la linea cadesse in continuazione. Sul secondo mi attendeva una sfilza di traduzioni, senza alcuna prospettiva di salvarle sul sistema operativo dell’agenzia cecoslovacca – in realtà ceca, ma io preferisco cecoslovacca.
Colto da un’improvvisa risoluzione, mi sono gettato la giacca sulle spalle e mi sono diretto a Madou, dove generalmente trovo un po’ di Italia: roba arrangiata, a prezzi umani.
Ho trovato sì l’Italia, ma degli anni ’90. Un piccolo negozio non aveva il ripetitore, l’altro non ce l’aveva senza fili.
“Vada da M.” Ha sentenziato un esercente, riferendosi a un grande magazzino di elettronica in centro.
Mi sono dunque tuffato in una via dei negozi fin troppo affollata, ho salito quattro piani e, con l’aiuto di due diversi commessi, ho acquistato – non proprio a poco prezzo – l’articolo più adatto.
Tornato a casa dopo una tappa al supermercato, l’ho inserito nella presa elettrica al posto dell’inutile router cinese lasciato in eredità da un precedente inquilino senza la relativa password; l’ho poi configurato e funziona perfettamente.
Minuscolo, poco più grande di una saponetta e altrettanto bianco, mi strizza tre occhietti cerulei, alzando verso il cielo tre esultanti braccini sottili.
Vorrei baciarlo, inginocchiarmi davanti a lui, fargli delle offerte. Sono come Queequeg, l’arpioniere cannibale di “Moby Dick”, con il suo idoletto Yojo. Gran libro, quello.
Un salmastro saluto.
Stan