Ritorni

Mia cara Berenice,

sono tornato a Roma, ma non sono solo.

È tornato il caldo torrido, che in giugno e luglio sembrava averci risparmiato.

È tornato il virus che doveva evaporare sotto il solleone come una granita siciliana nelle mani di una ragazza inappetente.

Tornano vecchi amici che avrei preferito non rivedere e metterò alla porta il prima possibile.

È il proverbiale giorno della marmotta.

Sulla superficie spessa di questa zuppa stagnante galleggiano gli antichi vizi di Roma, incapace di riprendersi dal colpo della prima ondata della pandemia, come città e come capitale d’Italia.

Il Ministero è praticamente vuoto, nonostante il personale sia stato teoricamente richiamato dal lavoro agile. Percorrendo i corridoi asfissianti, non immagineresti mai il ciclone che fa tremare i vetusti finestroni, man mano che la data di riapertura delle scuole si avvicina e i timori aumentano.

Urge un soffio di aria fresca, gelida, tanto che capisco perché quel tuo cugino bandito dallo Schloss, nei suoi fumosi circoli radicali viennesi, non fa che vagheggiare tempeste, fulmini, saette, chicchi di grandine grossi come pesche, della misura di quelli che a volte, qui, si abbattono al Nord, sul finire dell’estate. Lo capisco e compatisco.

Ti raccomando di far leggere il precedente paragrafo, parola per parola, a tua madre.

Un anarchico saluto.

Stan

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