Guanti e sacchetti

Mia cara Berenice,

sopravvivere alla pandemia richiede una serie di arti per lo più sconosciute, fino a ieri, all’umano medio.

Sprimacciarsi le mani con sapone o alcol, secondo le prescrizioni dell’Autorità sanitaria, sperando che la pelle non si strappi come un vecchio cuscino.

Tollerare incontri e riunioni da remoto.

Indossare la mascherina con temperature superiori ai trenta gradi.

Aprire le buste di plastica indossando guanti monouso e senza poter soffiare, una prova il cui superamento dovrebbe essere sufficiente per l’arruolamento nello Special Air Service britannico.

I guanti, per grazia dell’OMS, stanno scomparendo, il mio supermercato se ne sbarazzò il giorno stesso in cui l’Organizzazione di Ginevra emendò le sue raccomandazioni in proposito, e mi piace pensare che siano stati solennemente bruciati, in un falò purificatore, sul retro, nell’area di carico e scarico.

La lotta con le borse, tuttavia, non è meno accanita a mani nude. Se si è all’aperto e c’è un soffio d’aria – cosa non scontata nell’estate romana -, c’è chi le solleva controvento, come le vele di piccole imbarcazioni da diporto schierate nell’Operazione Dinamo. Altrimenti, occorre lavorare sugli angoli e, certamente, c’è qualche altra tecnica segreta a me ignota, magari sviscerata sulla Rete profonda.

Come se la cava, in proposito, la tua servitù?

Un ossequioso saluto.

Stan

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