Mia cara Berenice,
a fine luglio, una serie di incombenze mi riporteranno in Veneto, di nuovo fra Padova e la natia C. Nel prenotare il biglietto, ho dovuto constatarne il costo esorbitante.
Quindi, ricapitolando. Viaggiare in treno è costosissimo e addirittura impossibile per quanto concerne i convogli transfrontalieri, perfino all’interno dell’Area di Schengen: un amico di mio cugino (esiste davvero, non è una figura mitologica) è dovuto tornare dalla Francia in auto.
Degli aerei, meglio non parlare nemmeno. Un amico di N. che aveva avuto la temerità di prenotarne uno per il Giappone se l’è visto – provvidenzialmente, a mio avviso – annullare, ma sembra che ormai sia difficile perfino andare e venire da Bruxelles, la città del pendolarismo paneuropeo e internazionale.
Certo, rimane l’auto, come nei mitici coast to coast americani, ma converrai con me che gli aerei a basso costo e i treni ad alta velocità avevano plasmato, fino a ieri, la mobilità contemporanea.
Insomma, siamo come freccette lanciate contro un tabellone. Dove cadiamo, siamo per lo più destinati a restare confitti. Mettere radici o perire.
Di questa nuova realtà, Roma è un osservatorio privilegiato e amplificato, perché – come già ti dissi in tempi non sospetti – non è una città, ma una trapunta arlecchinesca di rioni. Ciascuno con una forte identità, tutti malissimo collegati fra di loro.
I trasporti pubblici capitolini, si sa, non brillano per efficienza, ma anche l’auto è una croce. Non c’è parcheggio da nessuna parte e i garage hanno costi stellari, vere miniere d’oro. I motorini, certo… io stesso ci sto pensando, per la prima volta… dopotutto, nelle Venezie, era il mio mezzo d’elezione… ma resto riluttante, con un traffico ancora selvaggio e un manto stradale simile al terreno di Verdun…
Risultato? Sto facendo il giro delle Parrocchie del quartiere: il giro delle sette chiese, come si suol dire…
Mi spiegherò più in dettaglio in seguito. Le donne, si sa, abbisognano di un po’ di mistero.
Un intabarrato saluto.
Stan