Cara Berenice,
è giunto infine luglio e, fuori dalla beatitudine delle Alpi Austriache, i picchi di calore fanno paura quasi quanto quelli del virus.
Nel fine settimana, siamo stati benedetti da una perturbazione effimera ma potente che ha evitato troppi assembramenti sulle spiagge e spiaggiato me sul letto ad ammirare, attraverso il riquadro della finestra, la pioggia che picchiettava le piastrelle del giardino.
Piccoli lussi pure non di poco conto, nel momento in cui, da Vienna, soffia solo il vento gelido della tua indifferenza.
Valga la presente come preavviso che continuerò a scriverti, finché non mi perverrà una diffida di polizia per atti persecutori con il regio imperial sigillo.
Nella peggiore delle ipotesi, tu o tua madre impilerete le mie lettere come trofei di caccia, finché la cima della torre non lambirà quelle orrende teste impagliate che decorano – decorano! – la vostra sala da pranzo.
A me resta la consolazione che siamo stati accomunati almeno dal clima, almeno per un giorno. Dal clima e dall’ostinazione, che non è prerogativa esclusiva dell’aristocrazia mitteleuropea.
Preparati, dunque, a consegnare al tritadocumenti una gran mole di carta.
Un saluto.
Stan