Roma-Venezia allez retour

Mia cara Berenice,

il Grand Tour continua, oggi è stata la volta di Venezia. A Padova avevo ripercorso le tappe infauste – tanto forse da comporre una Via Crucis – del mio assistentato universitario, a Venezia sono tornato sui luoghi più felici della mia assegnazione al Governatorato.

Devo dire che Venezia è stato il primo luogo a darmi un senso di normalità: strade affollate, qualche turista straniero. Nulla di paragonabile ai tempi prepandemici, certo, ma perché anche questi ultimi – nell’antica Dominante almeno – di normale avevano ben poco.

La vita è un susseguirsi di paradossi, ruota le quinte del nostro minuscolo teatrino senza posa, si rivolta come un guanto, cambia pelle come un serpente.

Ricordi cosa ti dissi, della mia vita a Venezia? Che avevo amato molto il Governatorato, poco la città a cui i turisti avevano succhiato tutto il midollo, lasciando solo la cartilagine delle facciate puntellate dei palazzi.

E le mie lodi sperticate di Roma? Città viva, concionavo, altro che Venezia! Turistica, certo, ma ben provvista di popolazione stanziale, perbacco!

Ora, proprio grazie alla sua malia maledetta da sirena, Venezia mi dà sollievo, mentre Roma, vuota indifferentemente di turisti e di impiegati ministeriali, mi annoda lo stomaco, proprio perché sono venuti a mancare i vacanzieri, categoria nel cui novero sono costretto – per colmo di amara beffa – ad annoverare anche tanti colleghi, come in quegli incubi in cui vedi i congiunti trasfigurarsi in alieni.

Molti, infatti, provengono da fuori l’Urbe, da regioni limitrofe o ancora più lontane. Se il lavoro agile – come tutto fa pensare – diverrà ordinario, li vedremo trasformarsi in pendolari o addirittura svanire. Sono troppo drastico, lo so, lo dice anche mio padre, tanto più che – mosso da singolare preveggenza -, ho giocato d’anticipo, muovendomi con tanto zelo per trasferirmi a Bruxelles.

Ti prego, però, di avere pazienza. La stagione sta cambiando, è appena passato il solstizio d’estate, e tu sai cosa può significare per me. Se, dopo la carta della Morte pandemica, la zingara scopre anche quella del Sole, mi concederai di sussultare sul mio sgabello.

Un caro saluto, mia Papessa.

Stan

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