Mia cara Berenice,
riavvolgiamo il nastro a due giorni fa, alla Festa della Repubblica, perché ho omesso di riferirti un particolare importante. No, nessun incontro lascivo nei vicoletti romani… anche perché, come dimostrano “Il conte di Montecristo” e la cronaca più recente, certe avventure sono irte di insidie.
Il particolare importante è invece che ho pranzato nel Ghetto, all’ombra – simbolicamente parlando – della Grande Sinagoga. Era la prima volta.
Fino a l’altro ieri, avevo sfuggito quei ristoranti, respinto da menù e lavagne troppo romaneschi, io memore delle delizie mediorientali servitemi nel Ghetto di Venezia.
Di quest’ultimo ero un assiduo frequentatore, d’altronde era poco lontano dal mio ufficio. Piccolo e raccolto, lo consideravo uno dei luoghi più autentici di Venezia, dove perfino la morsa del turismo era allentata, con polso fermo, da una evidente identità culturale ebraica. Uomini e bambini con lo zucchetto, autoctoni e visitatori. Ristoranti e panetterie kosher, alcuni dei quali molto famosi a Venezia, il Rabbinato, la Comunità Ebraica, la sinagoga, la casa di riposo israelitica, lo storico banco dei pegni. Sono rimasti in poche centinaia, gli ebrei veneziani; eppure, grazie alla loro compattezza, fanno per diecimila.
Potei constatarlo anche sul lavoro. Il Governatorato intratteneva con la loro Comunità relazioni assidue e ogni anno, in occasione del Giorno della Memoria, il Governatore si recava in piazza a rendere pubblico omaggio, scortato dai gonfalonieri in alta uniforme; anche noi dell’Ufficio Diplomatico, come puoi immaginare, presenziavamo.
Quattro passi nel Ghetto di Venezia, un paio di veline scambiate con la Comunità o il Rabbinato, sono sufficienti per una comprensione induttiva delle straordinarie resistenza e tenacia di quel popolo, sopravvissuto alla Diaspora, ai pogrom e all’Olocausto per ritrovare, dopo secoli e secoli, la sua Terra Promessa.
Quel senso di ammirazione si era ridestato in me percorrendo l’ampio viale del Ghetto negli snodi della Fase 2: i primi ristoranti a riaprire, e con quanta sollecitudine nell’offrire un tavolo a potenziali avventori ancora spaventati.
Il 2 giugno mi hanno fatto perfino ritrovare i vecchi sapori veneziani, dissipando i miei timori su una cucina giudaica troppo romanizzata. Falafel, hummus, cacio e pepe kosher. D’altronde, il fil rouge che lega Roma e Venezia è fin troppo evidente nelle eleganti garitte da dove la polizia sorveglia, giorno e notte, i punti strategici di entrambi i Ghetti. Gli agenti presidiano e proteggono; io, nel mio piccolo, faccio presenza e alimento l’economia.
Un orgoglioso saluto.
Stan