Mia cara Berenice,
non ci sbarazzeremo della curva quando, dis adiuvantibus, ci lasceremo alle spalle la pandemia.
Ognuno di noi, infatti, ha la sua curva.
Prendi me, ad esempio.
All’inizio della Fase 1, la mia era un elettrocardiogramma che toccava il punto più basso la mattina, appena aprivo gli occhi, per poi schizzare la sera: un andamento che mi era già noto, ben prima del virus.
Poi si è appiattita, ha raggiunto il plateau. Uscivo a giorni alterni, a giorni alterni ordinavo a domicilio, ero rilassato e dormivo come un sasso, nonostante la mancanza quasi assoluta di attività fisica.
Con l’inizio della Fase 2, la curva si è flessa in modo dolce ma deciso verso il basso. Un sapore metallico in bocca, una malinconia impalpabile come la sabbia che ti perseguita d’estate. “Giù, giù, sempre più giù,” come declama il grande Marcello Mastroianni in “Divorzio all’italiana” di Pietro Germi (Italia, 1961). Tuffarsi “a cufaniello” in un’acqua agostana troppo calda, densa, zupposa.
Oggi, all’improvviso, una nuova impennata. Elettrica, violenta, come innescata dalla scossa di un defibrillatore. Giubbotto in pelle, brillantina nei capelli, voglia di menare le mani.
Ti chiederai cosa succederà domani; me lo chiedo anch’io. Vedi, dipende dal modello epidemiologico che si applica. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Imperial College di Londra, diventerò uno dei primi dieci serial killer italiani. Secondo il Professor Silvestri della Emory University di Atlanta, uscirò da questa esperienza rinnovato e fortificato. Secondo la Professoressa Capua dell’Università della Florida, devo abbracciare un albero a Villa Pamphili. Il mio medico di base, che ha lo studio a un tiro di sasso da qui, mi ha prescritto dei bagni di sole a Ostia, un piatto di carbonara e l’astensione da ogni pensiero metafisico.
Uno spensierato saluto.
Stan