Mia cara Berenice,
dopo una lunga gestazione e nonostante qualche perplessità degli scienziati, è confermata a partire dal 3 giugno la riapertura dei confini regionali, un’impresa che in Italia perseguiamo fin dall’Unificazione e mai dal tutto conclusa.
D’altronde, come sai, l’Italia è uno Stato giovane, niente a che vedere con le origini sacro-imperiali dell’Austria. È del 17 marzo 1861 la Legge n. 4671, composta di un unico articolo che recita: “Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia”.
Ne “I Malavoglia”, Giovanni Verga (Treves, Milano, 1881) usa la celebre espressione “né scia né vossia” per descrivere la babele di lingue e dialetti regionali parlati durante la battaglia di Lissa del 1866.
Quello scontro, incidentalmente, lo vinceste voi. Il vostro ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, per sottolineare la sconfitta subita dall’Italia con un naviglio superiore e un Corpo Ufficiali scadente, avrebbe commentato: “Navi di legno comandate da uomini con la testa di ferro hanno sconfitto navi di ferro comandate da uomini con la testa di legno”. Il Capo di Stato Maggiore italiano, generale Armando Diaz, replicò idealmente a questa frase forse apocrifa con il bollettino del 4 novembre 1918, recante l’annuncio della vittoria finale sull’Austria, in cui si precisa immediatamente come l’esercito italiano avesse combattuto “inferiore per numero e per mezzi”.
Torniamo però allo scia e al vossia. La lingua italiana è stata in un certo modo creata in laboratorio, sulla base del fiorentino, grazie all’opera progressiva dei letterati risorgimentali, culminata ne “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni (Ferrario, Milano, 1827).
Anche dopo aver appreso delle avventure di Fermo, Renzo e Lucia, peraltro, gran parte del pubblico rimase fedele al vernacolo locale.
“Non è troppo tardi,” una celebre trasmissione della TV di Stato contro l’analfabetismo, andò in onda dal 1960 al 1968.
Non stupisce più di tanto, allora, che nella Costituzione si trovi, al primo comma dell’articolo 120, la precisazione che “la Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni,” né che ai Governi regionali sia stato consentito di insediarsi solo negli anni ’70, decenni dopo l’entrata in vigore della Carta.
Se le differenze linguistiche si sono da allora attenuate, quelle economiche e sociali, soprattutto fra le Regioni del Nord e del Mezzogiorno, si sono addirittura accentuate. Ora la pandemia ci ha messo del suo, eleggendo a bersagli preferenziali le Regioni del Nord-Ovest, in particolare Lombardia, Piemonte e Liguria.
Alcune Regioni del Mezzogiorno, prevedibilmente, protestano per la riapertura indifferenziata. Alcune si riservano di mettere in quarantena gli arrivi interni, la Sardegna chiederà di esibire un passaporto sanitario peraltro disconosciuto dalla comunità scientifica. Il Ministro per gli Affari Regionali ha bocciato tale pretesa come incostituzionale, ma è difficile invocare la Carta dopo che l’intero Paese è stato messo agli arresti domiciliari per due mesi… oppure no… oppure è proprio questo il momento per tornare a brandire la Costituzione.
Un caro saluto.
Stan