Pandemia e diplomazia

Mia cara Berenice,

ti ricordi quando, nel tentativo evidentemente fallito di fare colpo su di te, ti raccontai del mio passato incarico nell’Ufficio Diplomatico del Governatorato? Sbattesti le lunghissime ciglia e mi chiedesti a bruciapelo: “A che serve un Ufficio Diplomatico, in un Governatorato?”

Ti feci allora l’esempio di quando accolsi a Venezia il Governatore della Banca Federale germanica. Da un pontile riservato di Piazzale Roma, dietro l’Hotel Santa Chiara, lo caricai sul motoscafo del Governatorato e gli feci percorrere l’intero Canal Grande fino a Piazza San Marco, dove una deliziosa guida turistica americana – trecce bionde – ci fece fare il giro di Palazzo Ducale. Da lì lo scortai a Palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio Regionale, dove il Governatore tenne un discorso… in cui si scagliò a testa basta contro le dissipazioni dell’Erario italiano.

In quello specifico caso, dunque, effettivamente il cerimoniale non servì a molto; ma, in generale, la diplomazia è ovunque, perfino nelle pandemie.

Proprio oggi, la Francia ha invocato il più classico dei principi internazionalistici, quello di reciprocità, per applicare una quarantena di quattordici giorni (quasi un ossimoro) ai cittadini britannici che entrino nel suo territorio.

Sempre il Governo di Parigi, poco prima, ha protestato dopo che l’amministratore delegato della Sanofi aveva lasciato intendere che gli Stati Uniti potessero godere di un diritto di prelazione su un eventuale vaccino.

Nel frattempo, nella sempreverde Ginevra: l’Organizzazione Mondiale della Sanità deve difendersi dalle accuse americane di essere inefficiente e filocinese; la Cina deve resistere alle pressioni internazionali, a trazione americana, per una commissione d’inchiesta sulla genesi del virus e sulla gestione iniziale dell’epidemia; Taiwan, lo Stato che forse meglio di tutti ha gestito la situazione, trova le porte sbarrate, perché la stessa Cina lo considera una sua Provincia. Te ne avevo già scritto, rammenti?

Per non parlare delle sottili implicazioni politiche degli invii di aiuti da una Nazione all’altra, sotto forma di medici, materiale sanitario, dispositivi di protezione individuale, etc. Particolarmente zelante in questo è stata la Cina che, secondo i suoi detrattori, avrebbe molto da farsi perdonare.

Per qualche motivo, però, in Italia hanno sollevato maggiore attenzione e preoccupazione gli aiuti russi. Erano partiti con il piede giusto, grazie anche all’indovinato slogan “Dalla Russia con amore”. Forse è stata proprio tanta leggiadria a far risaltare indebitamente, per contrasto, i massicci camion militari russi carichi di soldati che incrociavano sul territorio nazionale.

Un centinaio di militari, pare, non certo un’invasione, ma abbastanza da far scomodare il dissidente e Grande Maestro di scacchi Garri Kimovič Kasparov e il generale Tod D. Wolters, Comandante Supremo Alleato per l’Europa. Particolarmente zelante nel tenere un faro puntato sulla missione russa è stato il quotidiano torinese La Stampa, contro cui è stato diretto un comunicato del Ministero della Difesa russo che si concludeva con la minacciosa citazione latina “Qui fodit foveam, incidet in eam”. Con nota congiunta dei Ministeri degli Esteri e della Difesa, l’Italia ha deplorato “il tono inopportuno”.

Per la cronaca, a inizio maggio è iniziato il ritiro della missione russa, con i ringraziamenti del Governatore della Lombardia. Del resto, le armate del virus sono ormai giunte alle porte di Mosca: speriamo facciano la stessa fine di quelle di Napoleone e Hitler.

Un ossequioso saluto.

Stan

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