Mia cara Berenice,
mi scrive G. dal Friuli, lamentandosi di essere stata maltrattata da un negozio che vende pompe per acquari.
“Sarà l’unico della zona,” ipotizzo.
“No”.
“Allora sarà bene avviato,” ritento.
“No, sono sempre sul punto di chiedere”.
“Allora chiuderanno”.
Capita, nella vita, di sbagliare mestiere, ma, per chi atterra nel commercio, l’errore ha vita breve; è come finire su una stadera, si viene pesati e, se questo è il caso, trovati mancanti.
Ricordo quando, nei primi giorni intrisi di terrore della Fase 1, misi piede nella rosticceria di via J. Avviatissima, un esercizio che avrebbe potuto permettersi di abbassare senz’altro la saracinesca, certo di rialzarla. La commessa, sorridente sotto la mascherina – all’epoca le portavano solo i lavoratori -, mi spiegò minutamente i piatti disponibili, mi chiese come intendevo riscaldarli (“Così Le do il contenitore giusto”), mi illustrò il buono sconto che mi avrebbe infilato nella borsa.
Ieri, a Trastevere, pochissimi i ristoranti aperti: solo gelaterie, pizzerie a metro, bar e pochi altri sfidavano la marea di petrolio. In Piazza di Sant’Egidio, la titolare di uno di questi ristoranti presidiava fieramente il suo ingresso, alle spalle del cavalletto con i piatti del giorno. Colpito da quella posa da polena, studiai il menù ed ella mi salutò con voce cordiale e stentorea, in un implicito, ancestrale invito ad accomodarmi. Era troppo presto per aderirvi, perfino per un nordico come me, ma ricambiai il saluto, cercando di comunicarle tutto il mio rispetto.
Da Trastevere proseguii per il Ghetto, dove, con mio grande stupore, trovai gran parte dei ristoranti aperti, compresa la famosa hamburgheria. Percorsi l’ampio viale, di nuovo veramente tentato dai tavolini ben distanziati, sorvegliati da uomini in zucchetto e mascherina, e difesi da lavagnette che sparavano le collaudate cartucce della cucina romana.
Di nuovo, un saluto e un invito. Tiro dritto, è davvero troppo presto e la mia tenuta ginnica mi pare assurdamente inadatta a un ristorante (preoccupazioni assurde in tempo di pandemia? ebbene, io sono contento che sopravvivano).
All’improvviso, da destra mi colpisce come un ceffone un tavolino da cui un ristorante, oltre al servizio tradizionale, offre piatti da asporto. Primo e secondo di pesce, acqua a un prezzo ridicolo, mentre tutta la stampa nazionale punta il dito contro i rincari delle riaperture. Avanzo ancora, mi fermo, esito, torno indietro.
Ordino il menù del giorno che ti ho menzionato. Mi viene assicurato che possono ordinare anche alla carta, quello che voglio. Declino. Vengo servito con sollecitudine e squisita cortesia. Le pietanze mi vengono consegnate in una borsetta in cui viene infilato il coupon del ristorante. Sono così strettamente avvolte nella stagnola e nella pellicola che almeno mezz’ora dopo, al mio arrivo a casa, sono ancora bollenti. Porzioni così abbondanti che accantono il secondo per il giorno successivo. L’ho consumato oggi e, dal sugo rimasto, potrò ricavare uno squisito piatto di pasta.
Il volantino nella borsetta me l’ha infilato anche oggi la sorridente signora da cui ho acquistato un regalo di compleanno: le donne, mi ha assicurato, ci tengono a questi dettagli.
Essere del mestiere.
Un dilettantesco saluto.
Stan
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