Mia cara Berenice,
nella mia ultima ti descrivevo un surreale episodio consumatosi anni fa al Tribunale di Timisoara, protagonisti la Professoressa F., un poliziotto e un imputato.
Ebbene, ho avuto un déjà vu, rendendomi conto di aver assistito a un secondo episodio quasi identico, un doppelgänger.
Ero stato invitato al Politecnico di Tirana a tenere una presentazione sugli iter decisionali e i procedimenti amministrativi in vigore per la gestione della Laguna di Venezia.
Mi trovavo dunque nella capitale albanese, un’altra città in cui tutti parlano un perfetto italiano, di nuovo accompagnato da accademici italiani. Una di costoro si accostò a due poliziotti di ronda per chiedere loro conto di alcuni bambini non accompagnati a un’ora ormai molto tarda.
“È normale?”
“Non è normale,” rispose molto educatamente uno dei due poliziotti, “ma…”
L’aneddoto è ancora più triste di quello rumeno, che pure dà da pensare.
All’epoca non vi prestai la dovuta attenzione, colpito com’ero da quel legame, così stretto e percettibile, fra Roma e Tirana.
Durante la Guerra Fredda, l’Albania comunista aveva rotto con Belgrado, aveva rotto con Mosca, era uno degli Stati più chiusi e paranoici del blocco orientale, una sorta di Corea del Nord balcanica.
Eppure quel periodo fu una pietra, per quanto dura e pesante, gettata in un fiume che scorre seguendo la geografia e la storia. Separate dal Canale d’Otranto, Albania e Puglia quasi si toccano e, infatti, il mio invito era arrivato tramite l’Università di Bari.
Ai tempi della Serenissima, alcuni lembi costieri dell’Albania facevano parte dello Stato da Mar, come le Bocche di Cattaro (oggi montenegrine).
Esiste addirittura la diaspora degli albanesi d’Italia, affluita a partire dal XV secolo, dopo la morte di Scanderbeg e la conquista ottomana del Paese.
Sotto il fascismo, l’Albania venne annessa dall’Italia per un breve periodo e utilizzata come piattaforma per la disastrosa invasione della Grecia.
La caduta del comunismo portò in Albania una nuova, grave crisi che, nel 1997, indusse l’Italia ad assumere la guida della missione Alba, su mandato ONU.
Sul sito ufficiale dell’Esercito Italiano si legge: “L’Esercito, schierato fra Tirana, Durazzo, Valona e Fier, contribuì con la Brigata meccanizzata “Friuli”, il 18° Reggimento bersaglieri della Brigata ‘Garibaldi’ (l’attuale 1° Reggimento Bersaglieri di Cosenza), il 187° Reggimento paracadutisti della ‘Folgore’ e il 151° Reggimento fanteria della ‘Sassari’, affiancati dagli Incursori del ‘Col Moschin’ e dagli specialisti dell’AVES, Genio, Sanità e Trasmissioni”.
Io tuttavia ricordo, come è naturale, un forte coinvolgimento della Marina, con l’incrociatore lanciamissili Vittorio Veneto nel porto di Tirana, e non dubito che anche l’Aeronautica e l’Arma dei Carabinieri abbiano fatto la loro parte; con ogni probabilità, furono schierate anche unità della Guardia di Finanza.
Nei primi, durissimi giorni della pandemia, ha suscitato viva commozione in tutta Italia il discorso con cui il primo ministro albanese ha annunciato l’invio di medici in nostro aiuto. Riproduci il video e vedrai che si tratta di una di quelle occasioni in cui la realtà si fa cinema: il prato verde, gli operatori in tuta bianca stagliati alle sue spalle, le parole.
Un caro saluto.
Stan