Mia cara Berenice,
altra settimana di regolari lezioni di teatro, altro esercizio di dizione.
Stavolta verteva sugli omonimi, ossia quei termini dalla grafia identica che si distinguono solo per l’accento acuto o grave. Come si diceva – credo, sono reminiscenze infantili – in un vecchissimo programma televisivo, entrino le nostre coppie.
Accétta – accètta
Accórsi – accòrsi
Affétta – affètta
Appósta – appòsta
Aréna – arèna
Bótte – bòtte
Cógli – cògli
Cóla – còla
Cólla – còlla
Córre – còrre (flessione desueta di cogliere)
Crédo – crèdo
Créta – Crèta
Colléga – collèga
Cólto – còlto
Anche stavolta, come appendice dell’esercizio di dizione in senso stretto, ci è stato chiesto di scrivere un racconto contenente le parole di cui sopra. Tenterò di svolgere il compito seguendo l’ordine dato, prima le parole con l’accento acuto, poi quelle con l’accento grave.
Accento acuto, dunque.
Devo rassegnarmi, quella ragazza ha un cuore tagliato con l’accetta. Accorsi sempre al suo minimo cenno, ma lei affetta indifferenza: arida come l’arena. Pensare che le ho regalato una botte di Xères e un barile di ostriche! Cogli aristocratici come lei, non avrò mai fortuna. Cola alterigia da tutti i pori. Colla sua albagia, si potrebbero rifornire la Corte e la Camera dei Pari! Suo padre si atteggia a liberale, ma, se un mezzadro protesta, corre a chiamare i gendarmi. Credo di non aver mai visto tanta ipocrisia condensata in una famiglia. Eppure… le basta una sguardo, mollemente gettato da sotto il parasole, per modellarmi come creta, a suo piacere. Collega il cervello, amico mio, o finirai male, molto male! A che pro essere tanto colto, se ti fai menare per il naso da una feudataria di campagna?
Ora, proseguiamo con l’accento grave.
Non accetta che io non abbia un blasone, questo è il fatto, me ne accorsi fin da subito: è affetta da inguaribile monomania per gli alberi genealogici. Apposta mi chiese se non avessi almeno un quarto, almeno un ottavo di nobiltà; ma io sono un borghesuccio e, nell’arena degli stemmi, posso solo sperare di essere preso a botte. “Vattene nelle colonie,” mi ha apostrofato una volta uno zerbinotto, “e cogli la cola!” Insulti che ti restano appiccicati come la colla… corre una pianta esotica, come fossi un indigeno o un coolie! Non c’è che fare, l’arroganza è il loro credo. Arrivare al cuore di una rampolla di quella schiatta è come raggiungere il centro del labirinto di Cnosso, a Creta. Aveva ragione il mio collega al Ministero: “Ti ha colto un brutto male, amico mio, il peggiore immaginabile!”
Ecco fatto. Se te lo dedico, apprezzi o ti offendi, accusandomi di esserti ispirato a te, nel tratteggiare il personaggio dell’altera principessa?
Un umile saluto.
Stan